Il progetto conosciuto come “sole artificiale” cinese ha compiuto un nuovo passo verso la concretizzazione dell'energia da fusione, stabilendo un record. A Hefei, presso il Centro nazionale scientifico, gli ingegneri hanno portato l’Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST) a mantenere un plasma stabile per oltre 17 minuti a una temperatura superiore ai 100 milioni di gradi Celsius, più di sei volte quella del nucleo solare.
Il dispositivo EAST non è un reattore destinato alla produzione commerciale, ma un banco di prova che ha iniziato le sue attività nel 2006 sotto la gestione dell’Istituto di Fisica del Plasma dell’Accademia cinese delle scienze. La sua particolarità risiede nella struttura: è il primo tokamak completamente superconduttore con forma non circolare. Questa scelta di design ha permesso di ottenere un notevole miglioramento nelle prestazioni, soprattutto nella gestione di plasma in modalità H, una configurazione ad alta efficienza che rappresenta la condizione necessaria per la produzione di energia da fusione.
Il traguardo raggiunto all’inizio del 2025, rappresenta un segnale per la comunità internazionale, indicando che la fusione può essere sostenuta per tempi più lunghi. La scarica di plasma è durata 1.066 secondi, stabilendo un nuovo limite mai superato prima. Un tempo di confinamento simile offre agli scienziati preziosi dati sperimentali su stabilità e materiali, informazioni essenziali per i progetti futuri.
Il principio alla base del tokamak è quello del confinamento magnetico: un campo potentissimo costringe il plasma – lo stato della materia in cui elettroni e nuclei si muovono liberi – a rimanere intrappolato senza toccare le pareti. Solo in queste condizioni è possibile riprodurre le reazioni di fusione che avvengono nelle stelle, con l’obiettivo di generare più energia di quanta se ne spende per innescarle.
L’esperimento di Hefei è stato condotto grazie a una rete di collaborazione che ha coinvolto università, centri di ricerca e imprese. Il gruppo guidato da Jianwen Yan dell’Istituto dell’Energia ha sottolineato come i risultati rappresentino una prova concreta della fattibilità tecnica delle operazioni in regime stazionario, uno dei nodi più complessi della ricerca sulla fusione.
Sappiamo che, a differenza delle fonti tradizionali, la fusione non produce emissioni di gas serra né scorie a lunga vita, e utilizza come combustibile isotopi dell’idrogeno ampiamente disponibili. Ma trasformare la teoria in pratica richiede di affrontare sfide ingegneristiche senza precedenti, tra materiali in grado di resistere a temperature estreme e sistemi magnetici che consumano enormi quantità di energia. La pubblicazione dei risultati è disponibile sulla rivista Frontiers of Engineering Management. La Cina non è l'unica realtà a spingere forte su progetti simili, infatti, anche l'Italia fa parte di un'iniziativa globale chiamata ITER, che punta allo sviluppo di un reattore da fusione.