Robot umanoidi: non basta l’AI, è il corpo a fermarli

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HDblog.it Aug 22, 2025 · 2 mins read
Robot umanoidi: non basta l’AI, è il corpo a fermarli
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Negli ultimi annii robot umanoidi hanno fatto passi da gigante: Figure ha mostrato macchine in grado di caricare lavatrici, Atlas di Boston Dynamics si è esibito in salti acrobatici e aziende come BMW e Mercedes-Benz hanno iniziato a testarli sulle linee produttive. Tuttavia, dietro ai video spettacolari resta un limite che non riguarda l’AI, ma i corpi stessi di questi robot. Ed è proprio qui che si concentra oggi il dibattito scientifico.

Il nodo centrale è che la filosofia progettuale dominante fino a oggi è stata “software-first”: potenza di calcolo, sensori e pianificazione centralizzata. Ma questo approccio ha mostrato i suoi limiti. Per camminare, ad esempio, i robot devono effettuare milioni di micro-correzioni che drenano le batterie in poche ore. Tesla Optimus consuma circa 500 watt per una camminata semplice, mentre un essere umano, pur sostenendo un ritmo più veloce, ne usa circa 310: il 45% in meno. Il divario non deriva tanto dall’intelligenza, quanto dall’efficienza fisica.

Sony stessa ha sottolineato il problema, spiegando che la maggior parte delle macchine umanoidi o animali ha un numero limitato di articolazioni e movimenti innaturali rispetto ai modelli biologici che cercano di imitare. Per questo ha lanciato una call dedicata a “meccanismi strutturali flessibili”, ovvero corpi capaci di adattarsi e muoversi con maggiore naturalezza.

Il biologo e ingegnere Hamed Rajabi, direttore del Mechanical Intelligence Research Group alla London South Bank University, spiega che la strada da seguire è quella della cosiddetta “intelligenza meccanica”. La natura ci mostra come i corpi possano svolgere calcoli ed adattamenti senza cervello e senza energia extra: le squame delle pigne che si aprono o chiudono a seconda dell’umidità, le zampe delle lepri che accumulano energia elastica, le nostre stesse mani che, grazie a tessuti molli e polpastrelli, si adattano a qualsiasi oggetto senza bisogno di grande sforzo muscolare.

Applicata ai robot, questa filosofia significherebbe creare giunture ibride, capaci di assorbire urti come quelle biologiche, o arti che sfruttano la flessibilità dei tendini artificiali per stabilizzare il movimento con poca energia. Una mano con pelle morbida e polpastrelli in grado di regolare l’attrito potrebbe afferrare oggetti con una frazione della forza necessaria oggi. In altre parole, sarebbe il corpo stesso a “computare” parte del lavoro, liberando l’AI per compiti più alti di pianificazione e interazione.

Il divario tra dimostrazioni spettacolari e utilizzo reale emerge anche nelle competizioni: alla World Humanoid Robot Games, molti robot si sono fermati, surriscaldati o danneggiati durante gare come la mezza maratona. Il contrasto con la robustezza umana è stato lampante. Eppure, senza questa svolta, difficilmente i robot umanoidi lasceranno i laboratori per diventare strumenti davvero utili. Voi che ne pensate? Fatecelo sapere nei commenti.