Robot umanoidi: sono ancora lontani anni luce da noi?

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HDblog.it Aug 29, 2025 · 3 mins read
Robot umanoidi: sono ancora lontani anni luce da noi?
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Quando si parla di robot umanoidi, è facile lasciarsi travolgere dall'entusiasmo. Le dimostrazioni video mozzafiato, con macchine che camminano, ballano o fanno acrobazie, ci fanno credere che un futuro in cui conviveremo con repliche meccaniche perfette sia dietro l'angolo. Eppure, secondo il professor Ken Goldberg, un rinomato esperto di robotica dell'Università della California a Berkeley, siamo molto più lontani da quell'obiettivo di quanto si pensi.

La sua analisi, pubblicata sulla rivista Science Robotics, mette in discussione le previsioni più rosee e mette in luce un problema pratico che i giganti della tecnologia, inclusa Tesla con il suo Optimus, sembrano sottovalutare: la fisica del mondo reale.

Il punto centrale non è tanto la potenza dei cervelli artificiali, quanto la capacità dei loro corpi di agire nel mondo. Il professore descrive quello che lui chiama un "divario di dati da 100.000 anni". Questo divario esiste tra l'enorme quantità di testo con cui si sono addestrati i grandi modelli linguistici (LLM), come quello che stiamo usando ora, e la quantità di informazioni pratiche che un robot deve assimilare per compiere compiti semplici ma complessi, come raccogliere un bicchiere o cambiare una lampadina. Gli esseri umani eseguono questi gesti senza sforzo, ma richiedono ai robot una percezione precisa della posizione, un controllo continuo del contatto e una gestione del feedback che sono incredibilmente difficili da replicare.

Il professor Goldberg fa notare che un approccio basato solo sulla raccolta massiccia di dati, come si è fatto per l'AI del linguaggio, non funziona. Mentre otto ore di testo online possono alimentare una mole di informazioni impressionante, otto ore di un robot che esegue un compito producono solamente otto ore di dati.

Non è una questione di algoritmi, ma di corpi. Molti dei robot umanoidi di oggi, nonostante le loro dimostrazioni visivamente affascinanti, sono ancora limitati dal loro design fisico. Consumano un'enorme quantità di energia e si basano su continue correzioni computazionali perché l'hardware manca di quella che il professor Hamed Rajabi della London South Bank University chiama "intelligenza meccanica". Le loro articolazioni non sono abbastanza flessibili e i loro movimenti risultano rigidi e innaturali. I robot hanno ancora bisogno di corpi più adattivi e ispirati alla biologia, che possano facilitare il lavoro del software di controllo.

In questo scenario, Goldberg non propone una visione pessimistica, ma realistica. L'approccio vincente non è una "rivoluzione" improvvisa basata solo sui dati, ma una strategia pragmatica. Egli suggerisce una via di mezzo, che unisce la "buona, vecchia ingegneria" con l'iterazione basata sui dati. L'idea è di creare robot che siano già utili per compiti limitati e specifici. Una volta messi al lavoro in fabbriche o magazzini, potranno raccogliere i dati del mondo reale di cui hanno bisogno per migliorare e diventare più versatili. Questo "processo di bootstrap" è già visibile in aziende come Waymo, che con le sue auto a guida autonoma raccoglie costantemente dati per perfezionare le sue performance.

Quindi, prima di vedere un robot chirurgo superare le capacità umane, potrebbero passare decenni. Il professore sottolinea che per ora le professioni manuali che richiedono destrezza e adattamento, come idraulici, elettricisti o falegnami, sono al sicuro. Le prime ad essere colpite dall'AI saranno le attività di routine, come la compilazione di moduli, o alcuni flussi di lavoro nel mondo degli uffici.