Un foglio di materiale spesso quanto un miliardesimo di metro che riesce a contenere ben nove metalli diversi. Sembra fantascienza, invece è il risultato ottenuto da un gruppo di ricercatori della Purdue University, che ha portato i MXene, una famiglia di materiali ultrafini, a un livello mai visto prima.
Ma cosa sono i MXene? Si tratta di materiali bidimensionali scoperti poco più di dieci anni fa, sottilissimi (appena un nanometro), che hanno già conquistato l’attenzione di scienziati e aziende. Sono conduttivi come i metalli, resistenti come le ceramiche e possiedono una chimica superficiale molto particolare. In pratica, un mix che li rende perfetti per le tecnologie del futuro: batterie più durature, elettronica avanzata e persino applicazioni nello spazio.
Il team guidato dal professor Babak Anasori ha deciso di spingersi oltre, provando a inserire nello stesso foglio non due o tre metalli, ma addirittura nove. Il paragone usato dagli scienziati rende bene l’idea: è come preparare un panino con sempre più ingredienti. Con pochi elementi la struttura resta ordinata, ma man mano che si aggiungono metalli la disposizione diventa caotica. Questo caos, però, non è un difetto: può dare vita a nuove proprietà e a materiali più stabili in condizioni estreme.
Per arrivare a questo traguardo i ricercatori hanno realizzato circa 40 combinazioni diverse, creando prima un materiale “genitore” chiamato MAX phase e trasformandolo poi nel sottilissimo MXene. Così hanno potuto osservare come ordine e disordine degli atomi influenzino la stabilità e il comportamento elettronico.
La scoperta è importante perché apre la strada a materiali in grado di funzionare dove quelli tradizionali falliscono. Si parla, per esempio, di batterie per auto elettriche che resistono al freddo polare e al caldo desertico, oppure di componenti che potrebbero operare nello spazio o negli abissi oceanici senza degradarsi. Non mancano applicazioni più quotidiane, come antenne ultra sottili per le telecomunicazioni o sistemi per schermare le onde elettromagnetiche.
Il professor Anasori lo ha spiegato chiaramente: “Vogliamo capire fino a dove possiamo spingerci, creando materiali che non solo resistano alle condizioni più dure, ma che aprano possibilità nuove in campi come l’energia pulita e l’aerospazio”. Lo studio, pubblicato su Science è stato finanziato anche da enti in Polonia e dalla Corea del Sud.