Se critichiamo le scelte di Sabrina Carpenter siamo complici di quella dinamica che fingiamo di criticare

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(La redazione di fem) Jun 13, 2025 · 5 mins read
Se critichiamo le scelte di Sabrina Carpenter siamo complici di quella dinamica che fingiamo di criticare
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I commenti sotto al post con cui Sabrina Carpenter annuncia l'uscita del suo nuovo album, "Man's Best Friend," sono centinaia e centinaia. E non tutti di plauso, anzi. "Fai del male alle donne", "questo non è empowering", "ma cosa insegni alle donne?". La premessa è che l'immagine è empowering eccome e che Sabrina Carpenter non deve insegnare nulla: le donne non hanno alcun obbligo pedagogico verso le altre.

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C'è poi il tema centrale: è un bene che ci siano polemiche, significa che su larga scala si inizia a parlare di oggettificazione e sessualizzazione. Ma c'è anche un grosso equivoco: a scegliere questa posa è stata Sabrina Carpenter. E lì dove c'è autodeterminazione, sono le polemiche a oggettificare. 

il diritto di autodefinirsi "cagna" (inutile girarci intorno)

Le polemiche sono esplose in fretta, tra chi ha parlato di eccessiva sessualizzazione e chi ha accusato la cantante di prestarsi all’oggettificazione del corpo femminile. Ma per capire davvero cosa c'è in gioco, bisogna chiarire alcuni concetti. Oggettificare è quando uno sguardo esterno riduce una persona a un oggetto, a un corpo vuoto o a una parte del corpo che esiste solo per il piacere altrui. È il processo per cui l’identità, l’intelligenza, la volontà e la soggettività vengono oscurate, ignorate e tralasciate in favore di una rappresentazione passiva, estetica, sessualmente disponibile. La sessualizzazione è l’attribuzione di un valore sessuale a una persona in modo riduttivo o non richiesto.

Entrambe sono dannose quando cancellano l’agency di chi viene rappresentata/o. Nel caso specifico della cover dell’album, l’immagine di Carpenter in ginocchio, di fronte a un uomo (evidentemente in abito, il che suggerisce il potere maschile) che la tiene per i capelli, suggerisce una narrativa di desiderio che la collega simbolicamente a una dinamica di potere: lui (chiunque sia) comanda. Il titolo dell'album oltretutto è "Man's best friend": il migliore amico dell'uomo, la migliore amica dell'uomo. Cioè un cane, una cagna. E infatti nel retrocover c'è il close up della gola di un cane che indossa un collare con tanto di medaglietta. 

In generale il concept visivo dell'album può essere letto (evidentemente lo è) come l'esaltazione dell'erotizzazione del potere maschile. Cioè quella forma di attrazione sessuale verso gli uomini di potere, perché sono di potere. Una dinamica che se non colta nella sua banale essenza (le fantasie sessuali sono tutte legittime) non può che disgustare. Ma appunto: è una fantasia, un'erotizzazione. E sì: anche le femministe possono erotizzare il potere maschile, come avere fantasie sessuali legate allo stupro o alla sottomissione.

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È una rappresentazione potente, certo, ma non è neutrale. Sabrina Carpenter può immaginare, produrre, divulgare questa immagine proprio grazie alle lotte femministe. Ed è qui che si snoda il grande equivoco: è Sabrina Carpenter che ha scelto queste immagini. Non le ha subite e non è stata messa lì da qualcun altro. Non è una marionetta nelle mani dell’industria. Ha contribuito attivamente al concept del disco, alla narrazione visiva e alla scelta estetica. È un’artista che usa il proprio corpo e la propria immagine come strumento espressivo e questo dato non deve sfuggire quando si commentano i suoi post: se sfugge, si pratica l'oggettificazione. Si ignora, cioè, la volontà di Sabrina Carpenter.

Accusare Carpenter di oggettificarsi ignorando la sua volontà e il suo controllo, è paradossalmente un atto di oggettificazione in sé. Perché presume che lei non sappia cosa sta facendo, che sia ingenua, o manipolata. È paternalismo travestito da femminismo. Quindi sì, è bene che ci siano polemiche: significa che le persone stanno cominciando a riflettere, a interrogarsi su cos’è il corpo pubblico, cos’è il consenso, cos’è l’autonomia.

Ma se come società ci sentiamo legittimati ad aggredire o giudicare le scelte artistiche di una donna che si autodetermina, allora siamo ancora dentro la stessa cultura che fingiamo di criticare: una cultura che non tollera davvero la libertà femminile, ma accetta le forme di libertà che in fin dei conti sono innocue. Ignorare la volontà di Sabrina Carpenter, e gridare allo scandalo senza capire il contesto, è esattamente ciò che fa l’oggettificazione: trasforma un soggetto in un oggetto, anche quando quel soggetto sta parlando forte e chiaro.

il tema dell'oggettificaizione (con o senza cani e collarini)

L’analisi femminista da decenni indaga il modo in cui i corpi delle donne vengono rappresentati e consumati nei media. Secondo Laura Mulvey, teorica del concetto di male gaze (sguardo maschile), la cultura visuale tende a inquadrare le donne come oggetti del desiderio per uno spettatore maschile implicito. In questa logica, la donna è vista, mentre l’uomo guarda. È passiva, mentre l’uomo è attivo.

Quando Sabrina Carpenter appare nuda su Rolling Stone (o segnata di rossetto sulla cover di "Short n’ Sweet", l'album del 2023) è inevitabile interrogarsi: queste immagini alimentano il male gaze o lo sfidano? È qui che il femminismo contemporaneo introduce una distinzione fondamentale: tra sessualizzazione imposta e autoerotizzazione consapevole. La prima è una forma di potere patriarcale. La seconda può essere una forma di resistenza. Anzi lo è.

Le artiste che scelgono di mostrarsi sessualmente libere o provocatorie stanno spesso ribaltando la logica oggettificante, riappropriandosi del proprio corpo come mezzo narrativo e politico. Judith Butler ci ricorda che il genere (e il corpo) è performativo: non è ciò che siamo, ma ciò che facciamo e come lo rappresentiamo. Se Sabrina Carpenter sta facendo qualcosa con la sua immagine — provocando, giocando con gli stereotipi, o sovvertendo il linguaggio dell’erotismo pop — allora è autrice, non oggetto. E, in quanto tale, va ascoltata.