L’umanità ha lasciato una traccia tangibile sulla Luna, sebbene qualcuno continui a ritenerlo falso, ma elucubrazioni a parte, oggi quelle stesse impronte rischiano di essere cancellate per sempre. A lanciare l’allarme sono scienziati, istituzioni internazionali e organizzazioni non governative, che chiedono con insistenza un quadro normativo globale per tutelare il patrimonio culturale extraterrestre prima che i nuovi arrivi sulla superficie lunare ne compromettano l’integrità.
Il World Monuments Fund (WMF), celebre per la sua attività a difesa del patrimonio mondiale, ha inserito la Luna nella sua lista “Watch 2025”, una selezione dei siti più a rischio al mondo. Un gesto simbolico quanto significativo, che intende portare l’attenzione sul bisogno impellente di proteggere le prime tracce dell’esplorazione spaziale: dall’iconico sito dell’Apollo 11 a nuove missioni che, spesso, lasciano dietro di sé resti meccanici e strumentazioni preziose per gli studi futuri.
Jonathan Bell, vicepresidente del WMF, paragona la situazione a quanto già fatto con il Trattato Antartico, che protegge siti storici in ambienti estremi. “È giunto il momento – afferma – di sviluppare politiche simili anche per la Luna, considerando le missioni passate come parte di un’eredità collettiva dell’umanità”.
La riflessione coinvolge anche il mondo accademico. Justin Holcomb, geologo dell’Università del Kansas, spiega come sia possibile parlare ormai di un “Antropocene lunare”. L’attività umana ha infatti lasciato un’impronta concreta anche sul nostro satellite naturale: dalle orme degli astronauti ai frammenti tecnologici lasciati durante gli atterraggi. “Missioni recenti come quelle di Firefly o Intuitive Machines – dice Holcomb – stanno creando nuovi siti archeologici, e ciò richiede consapevolezza e responsabilità”.
A questa spinta culturale si affiancano iniziative legislative e diplomatiche. L’organizzazione For All Moonkind ha collaborato all’introduzione di una normativa statunitense nel 2020, la prima a riconoscere ufficialmente la presenza di un’eredità umana nello spazio. Inoltre, il gruppo ha contribuito alla redazione degli Accordi Artemis, ora sottoscritti da 55 Paesi, che includono principi di salvaguardia dei siti storici lunari.
Michelle Hanlon, cofondatrice di For All Moonkind, ha sottolineato i progressi fatti anche in sede ONU. Il Comitato per gli Usi Pacifici dello Spazio Esterno (COPUOS) ha istituito recentemente un gruppo di lavoro – ATLAC – per promuovere un dialogo globale sull’attività lunare, sostenuto da paesi come Regno Unito, Polonia e Armenia, che hanno chiesto esplicitamente che la tutela del patrimonio culturale sia parte integrante di tali discussioni.
La sfida però è tutt’altro che semplice. L’attuale Trattato sullo spazio extra-atmosferico garantisce a tutti i Paesi il libero accesso a ogni area della Luna, rendendo complessa qualsiasi proposta di esclusione o protezione fisica dei siti. “Servirà una reinterpretazione condivisa del Trattato – spiega Hanlon – per creare protocolli di accesso che non violino i principi di libero utilizzo ma che garantiscano la conservazione della nostra storia comune”.
Nel frattempo, anche il Gruppo di Lavoro sulla Sostenibilità a Lungo Termine delle Attività Spaziali di COPUOS sta valutando di includere tra i suoi obiettivi la salvaguardia del patrimonio culturale spaziale, a riprova di quanto il tema sia ormai entrato stabilmente nell’agenda internazionale.