Stampanti 3D nello spazio: a Glasgow il primo test che sfida il vuoto

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HDblog.it May 17, 2025 · 2 mins read
Stampanti 3D nello spazio: a Glasgow il primo test che sfida il vuoto
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Stampare oggetti in 3D nello spazio non è più solo un esperimento futuristico: è una concreta necessità per garantire l’autosufficienza degli astronauti. Ma cosa succede se i materiali realizzati direttamente in orbita non resistono alle condizioni estreme dello spazio? Per affrontare questo problema, l’Università di Glasgow ha inaugurato una struttura innovativa: il NextSpace Testrig, un banco di prova che simula le difficoltà del vuoto cosmico proprio qui sulla Terra.

Il laboratorio si trova presso la James Watt School of Engineering ed è considerato il primo centro al mondo interamente dedicato alla verifica della resistenza di materiali stampati in 3D pensati per l’ambiente spaziale. Qui, scienziati e aziende possono testare la solidità di plastiche, metalli e ceramiche create con tecnologie additive, sottoponendole a condizioni estreme che imitano quelle in orbita.

L’utilizzo delle stampanti 3D nello spazio non è una novità assoluta: già nel 2014 la NASA ne ha installata una sulla Stazione Spaziale Internazionale. Da allora, si sono moltiplicati gli esperimenti, culminati nel 2024 con la prima stampa metallica in microgravità, realizzata grazie alla collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e Airbus. L’oggetto in questione? Una curva a S in acciaio inossidabile, simbolo di un passo avanti rispetto alla stampa plastica.

Quello che mancava, però, era un luogo dove poter testare in modo rigoroso la durabilità di questi materiali in ambienti simili allo spazio. Secondo il ricercatore Dr. Gilles Bailet, uno dei responsabili del progetto, questo tipo di verifica è essenziale per evitare che materiali difettosi finiscano per diventare pericolosi detriti orbitanti.

Il problema non è da poco: nello spazio, un frammento malformato può staccarsi da una struttura e viaggiare a velocità comparabili a quelle di un proiettile. L’impatto con satelliti o veicoli spaziali potrebbe provocare danni irreparabili e generare nuovi frammenti, innescando una sorta di effetto domino noto come sindrome di Kessler.

Il NextSpace Testrig nasce proprio per evitare questo scenario. All’interno del laboratorio, i materiali vengono sottoposti a un intervallo termico che va da -150 °C a +250 °C, un range tipico delle missioni in orbita. Oltre al controllo delle temperature, la struttura dispone di un sistema che esercita una pressione di 20 kilonewton, l’equivalente di 2.000 chilogrammi, per valutare la tenuta meccanica dei campioni.

Questo tipo di test non ha precedenti e si rivolge tanto al mondo accademico quanto a partner commerciali interessati a costruire infrastrutture spaziali più sicure, magari utilizzando le risorse direttamente presenti sulla Luna o su Marte. La possibilità di produrre oggetti su richiesta nello spazio potrebbe infatti ridurre drasticamente la dipendenza dalla Terra, dove ogni lancio comporta costi elevati e lunghi tempi di preparazione.