La turbolenza non è solo ciò che scuote gli aerei o increspa la superficie dell’acqua: si tratta di un fenomeno onnipresente, che sfida ancora oggi le leggi della fisica. In particolare, le dinamiche turbolente nello spazio – dove gas e campi magnetici si intrecciano in movimenti complessi – rappresentano un campo di ricerca affascinante e ancora poco compreso.
Un team internazionale di ricercatori, guidato dalle università di Princeton e Toronto, ha utilizzato le straordinarie capacità del supercomputer SuperMUC-NG, situato presso il Centro di supercalcolo Leibniz di Monaco, per eseguire una simulazione titanica. L’obiettivo era esplorare come l’energia si muove su scala cosmica attraverso le turbolenze magnetizzate del mezzo interstellare, la materia rarefatta che riempie lo spazio tra le stelle della Via Lattea.
I numeri in gioco sono impressionanti: il modello digitale generato occupa un “cubo virtuale” con lati lunghi oltre 10.000 unità di misura (l’unità di calcolo utilizzata dai ricercatori), rappresentando una scala mai raggiunta prima. Secondo gli scienziati, eseguire questi calcoli su un singolo laptop avrebbe richiesto un tempo paragonabile all’intera storia dell’agricoltura umana, ovvero più di 10.000 anni.
Grazie alla potenza del SuperMUC-NG, è stato possibile distribuire il carico computazionale su decine di migliaia di processori in parallelo, accelerando l’elaborazione e permettendo l’osservazione di dettagli mai visti.
Ciò che è emerso dallo studio pubblicato su Nature Astronomy è che i campi magnetici giocano un ruolo fondamentale nell’organizzare la turbolenza su scala cosmica. In particolare, essi sopprimono i moti caotici più piccoli e favoriscono la propagazione delle cosiddette onde di Alfvén, oscillazioni caratteristiche dei plasmi magnetizzati.
Questa scoperta mette in discussione i modelli classici dell’astrofisica, che tendevano a sottovalutare l’influenza dei campi magnetici su larga scala. Ma non si tratta solo di teoria: comprendere il comportamento del plasma nello spazio è essenziale per la sicurezza delle future missioni spaziali.
Secondo Amitava Bhattacharjee, coautore dello studio, questi risultati potrebbero aiutare a prevedere e mitigare i fenomeni legati al meteo spaziale, che minacciano sia i satelliti in orbita sia gli astronauti esposti alle radiazioni cosmiche.
Non è un caso che la NASA consideri la turbolenza interstellare come un elemento chiave per la formazione stellare: le nubi molecolari turbolente fungono da culle per nuove stelle, modellando la struttura stessa della galassia.
Il sogno dei ricercatori, come racconta James Beattie, postdoc a Princeton, è identificare proprietà universali delle turbolenze, sia nel nostro mondo che nello spazio profondo. Il prossimo passo? Spingere ancora più avanti i confini della simulazione numerica con le tecnologie del futuro.