Dimenticate le adrenaliniche fughe dalle fauci del Tirannosauro viste al cinema in Jurassic Park, con jeep che sfrecciano nel fango nel disperato tentativo di seminare il predatore. La realtà, secondo le più recenti scoperte paleontologiche, era probabilmente molto meno cinematografica e decisamente più tranquilla. Un nuovo studio, condotto da ricercatori dell'Università della California a Berkeley, aggiunge tasselli fondamentali a un'immagine del T. rex che si discosta sempre più da quella del mostro invincibile e velocissimo a cui la cultura popolare ci ha abituati.
Uno dei colpi più duri al mito del super predatore riguarda la sua velocità. Lontano dall'essere un fulmineo corridore, il T. rex era più probabilmente un camminatore relativamente lento. Analisi biomeccaniche e simulazioni computerizzate, come quelle di uno studio del 2021 che ha esaminato il movimento della coda, suggeriscono che questo gigante preistorico non superasse i 32-40 chilometri orari. Sicuramente difficile da seminare, ma non così rapido come in molti immaginavano.
Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori, tra cui il paleontologo Jack Tseng, hanno confrontato la struttura ossea e la massa muscolare necessaria con quella degli animali bipedi odierni, come polli e struzzi. La potenza richiesta per far correre un animale di quella stazza sarebbe stata semplicemente insostenibile.
Questa lentezza apre le porte a un'ipotesi ancora più spiazzante: e se il T. rex non fosse stato principalmente un cacciatore, ma un saprofago? Un animale che si nutriva di carcasse, piuttosto che inseguire prede fresche e agili. Questa idea è supportata dallo studio della meccanica del morso, come quello condotto sui resti di "Jane", un giovane esemplare di tirannosauro. Le forze necessarie per frantumare ossa e squarciare carcasse in decomposizione sono diverse da quelle usate per attaccare una preda viva. Una rivelazione che, come ammette lo stesso Tseng, "sarebbe una grande delusione per molti bambini".
Ma le sorprese non finiscono qui e riguardano anche il suo aspetto. L'immagine del rettile gigante, con la pelle squamosa e di colore smorto, sta lasciando il posto a quella di un animale parzialmente o totalmente ricoperto di piume. Proprio come i loro discendenti, gli uccelli moderni, anche i tirannosauri potrebbero aver sfoggiato un piumaggio, forse non per volare, ma per termoregolazione o per scopi ornamentali, rendendoli più simili a enormi e stravaganti uccelli terrestri che a lucertole.
Queste deduzioni, che possono sembrare quasi fantascientifiche, si basano su un metodo rigoroso che collega la paleontologia alla biologia moderna. Un esempio illuminante viene dallo studio dei sauropodi, i dinosauri dal collo lunghissimo. Per capire come riuscissero a pompare ossigeno fino al cervello attraverso un collo di quindici metri, gli scienziati hanno osservato il sistema respiratorio degli uccelli, scoprendo che le ossa cave dei sauropodi, simili a quelle aviarie, funzionavano come un "pseudo-sistema polmonare" per facilitare l'ossigenazione. È questo ponte tra il vivente e l'estinto che permette di ricostruire la vita di creature scomparse da milioni di anni, rivelando un passato molto più complesso e affascinante di quanto avessimo mai immaginato.