Questa settimana vi parlo di ghosting.
Direte: che originale.
Eh, purtroppo no.
Ma forse proprio perché sembra diventato normale, vale la pena soffermarsi un attimo. Il ghosting si insinua nelle nostre vite senza far rumore, e spesso ci colpisce quando meno ce lo aspettiamo.
Pensiamo sempre che capiti agli altri. E invece no.
Secondo la psicologa Kelsey M. Latimer, chi sparisce senza spiegazioni può avere tratti egocentrici, evitanti o manipolatori. Ma non solo: a volte dietro c'è depressione, stress emotivo o perfino dipendenza. Non sempre chi scompare lo fa per cattiveria.
Ma le conseguenze su chi viene lasciato nel silenzio possono essere profonde.
Selvaggia Lucarelli, in un’intervista a Radio Capital, ha affrontato il tema con la psicologa Ameya Canovi.
Parlano di una generazione che non possiede più un alfabeto emotivo per dire "non ce la faccio", "non fa per me", "ti lascio".
E così il silenzio diventa una scorciatoia. Ma anche un gesto infantile, che lascia l’altro con mille domande, e nessuna risposta.
Racconto
Guardavo il telefono come si guarda un treno che tarda senza preavviso.
Un occhio all’orizzonte, uno al tabellone.
Niente. Nessuna notizia. Silenzio cieco.
Rileggo l’ultima schermata della nostra chat.
Non è la prima volta che succede. Tutto alla grande, poi un messaggio improvviso che dice tutto e niente, e che sostituisce il silenzio totale che c’era prima – senza nemmeno una paletta rossa.
Eppure sono comunque sorpresa.
«Senti, amiamoci perdutamente o dimentichiamoci disperatamente. Tutto o niente.»
Questo ci eravamo detti a inizio giugno.
Guardavo il mare sulla spiaggia, con le onde che mi lucidavano il semipermanente rosso fragola appena rifatto, e pensavo solo ai nostri baci in acqua, al suo sorriso e agli occhi rotondi come pianeti pieni di vita, nei miei.
Sembrava passato un secolo.
Ma era solo un anno da dimenticare. Per noi sicuramente.
E allora mi chiedo: i muri che ho messo per proteggermi, hanno contribuito alla sua sfiducia nel cambiare?
Hanno alimentato i suoi blocchi?
Alla fine ho scelto di tornare.
Davvero. Intera.
Un’ultima volta. Ma ultima davvero, davvero.
E sono iniziati i mesi più belli di queste montagne russe che non avrei mai voluto.
Non mi piacciono le montagne russe. Non hanno senso per me.
«Ti devo una risposta, su di noi. Lo so, e ho tante cose da dirti. Presto»
mi aveva detto mentre mi stringeva forte.
E abbiamo passato la notte al mare, sulla spiaggia.
Il mio costume nero intero troppo scollato non gli faceva togliere gli occhi di dosso. Le mie labbra rosse lo distraevano da tutti i suoi drammi.
Il fritto misto al ristorante.
La colazione in camera. Le briciole, mentre mi accarezzava il corpo nel letto.
Le settimane passate da me. I gatti che ci separavano gli abbracci ma ci facevano sorridere alle cinque del mattino.
La colazione che gli preparavo con frutta, yogurt, cereali, sempre diversa.
Il caffè caldo.
Per farlo sentire amato.
Poi è partito per lavoro.
Io sono andata in Messico.
«Ti scrivo mentre sei via, così sono tranquillo e iniziamo a ragionare su come fare le cose. Insieme. Ti amo.»
E mentre ero ai Caraibi parlavamo di tutto, tranne che di quello.
Non ho chiesto. Ma era il mio pensiero fisso.
Mentre Niccolò mi spalmava la crema solare sulla schiena, sulle braccia, sul décolleté, e mi diceva:
«Ti devo fare una foto. Sei una dea.»
Mi sentivo lusingata da quel love bombing, ma non l’ho mai invitato – né lui, né altri – a dormire da me.
Poi sono tornata.
Ma lui non mi ha detto niente.
«Va beh, diamogli un attimo», ho pensato.
Come se non avessi già dato abbastanza tempo.
E poi è arrivata metà settembre.
Fino a lì, tutto benissimo.
Mi chiedeva quando ci vediamo, che agenda ho, mi ha supportata per un problema che avevo avuto al lavoro.
L’uomo – sulla carta – sempre perfetto.
Gli rispondo a quel messaggio. Era il 16 settembre.
Niente.
Gli scrivo il 17.
Niente.
Gli scrivo il 18:
«Ciao Gatto, mi dici solo se è tutto ok e non mi scrivi perché non riesci a incastrare le agende e sei in introversione mood solito, o se ci sono problemi gravi? Sono preoccupata.»
Niente.
19 settembre. D’improvviso la risposta, stonata. O forse no.
«Non riesco a trovare senso in questo momento.
L’unica cosa che devo fare è un percorso di psicoterapia che a giugno mi hanno detto di fare, ma che mi rifiutavo di pensare di aver bisogno.
Cinque passi avanti e dieci indietro, domande – le tue – alle quali non do risposte, o che non voglio affrontare.
Spero solo di smettere di non essere sereno mai, come sono ora.
Di non fare più del male a chi di importante ho accanto.»
Al momento non ero troppo scossa.
Stesso messaggio, ciclico, ogni tot mesi. Da due anni.
Ma poi, dalla strizza, non ci è mai andato.
Anzi sì. Ma appena ha capito che era un caso da manuale ha mollato il colpo.
«Non ha preso una riga di appunti. Mi guardava anche un po’ annoiata, con il sorriso accennato di chi l’ha già sentito da centinaia di uomini che si sentivano speciali.»
L’avevo guardato con la stessa espressione, senza saperlo.
«Lei… esattamente quella», ha detto.
Io:
«Lo so. Ma la bella notizia è che l’hanno affrontato centinaia – anzi, migliaia – di persone nel mondo. E si può superare.
Non è una rarità. E quindi non è senza cura.»
Ma per lui non essere speciale anche nel disagio era stata la scusa perfetta per mollare.
Evidentemente non voleva cambiare.
Non era pronto.
«Ti amo. Se hai voglia di parlarne o di vederci, sono qui.»
Mai visualizzato. Mai più ricevuto un messaggio.
Oh, ma è tornato.
Tornano sempre. Lo sappiamo.
Ero a Parigi.
L’ho visto apparire nelle notifiche di Instagram, con il naso congelato mentre camminavo a pochi metri dal Moulin Rouge.
Ma non sono più tornata.
Non perché non lo amassi.
Non ho mai amato nessuno così tanto.
Non perché lui non mi ami.
Non ha mai amato nessuno così tanto.
Ma perché è già stato detto tutto.
E quello che non è stato detto… non ha risposta. Cade nel vuoto.
Sparisce. Come un fantasma.
Come un amore che esiste solo nel mondo ideale.
Nel mondo delle idee di Platone.
Ma il mio gatto saggio, Aristotele, mi insegna che la vita vera è nel mondo reale, là fuori.
E che bisogna creare uno strappo.
Per andarsela a prendere.
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