L'analisi ha valutato 20 applicazioni tra le più utilizzate, confrontandone le pratiche in materia di autorizzazioni richieste e sistemi di tracciamento. Il quadro emerso è tutt'altro che rassicurante, poiché le app analizzate hanno complessivamente richiesto ben 882 autorizzazioni, 78 delle quali classificate come “rischiose”. Si tratta di permessi che consentono, ad esempio, l'accesso al microfono, alla posizione GPS o la capacità di sovrapporre contenuti su altre app attive, generando fastidiose finestre pop-up.
In 15 casi su 20, le app chiedono la posizione esatta dell'utente, e 16 di esse si riservano la possibilità di visualizzare contenuti sopra altre applicazioni: dinamiche che sollevano interrogativi legittimi su quanto effettivamente l'utente sia consapevole delle informazioni personali che viene spinto a condividere.
A sorprendere nel panorama emerso è la posizione di Temu, che secondo l'analisi risulta l’app meno invasiva del campione considerato. L’applicazione cinese ha richiesto solo 12 autorizzazioni, evitando di domandare l’accesso al microfono e ai file archiviati sul dispositivo, due tra le aree più sensibili in termini di privacy. In un contesto in cui la raccolta dati da parte delle app è spesso aggressiva e poco leggibile per l’utente medio, Temu si distingue per un approccio apparentemente più sobrio e meno intrusivo.
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