SpaceX si prepara al prossimo passo nello sviluppo di Starship, ossia tentare un rientro completo in Texas dopo un volo orbitale. Si tratterebbe di una delle prove più delicate mai affrontate dall’azienda di Elon Musk, perché per la prima volta la navicella non finirebbe in mare ma tornerebbe direttamente alla base di lancio, per essere catturata dalle enormi braccia della torre di Starbase. Un traguardo che, se raggiunto, segnerebbe l’inizio della vera fase di riutilizzo del veicolo spaziale.
Finora i dieci test compiuti hanno seguito profili di volo che terminavano con uno splashdown nell’Oceano Indiano o Pacifico, senza completare un’orbita terrestre. Ma con la versione di terza generazione, alta 52 metri (171 piedi) per la sola navicella e 124,4 metri (408 piedi) considerando anche il booster Super Heavy, SpaceX punta a missioni in orbita bassa. Il prossimo obiettivo è dimostrare che il razzo può rientrare a terra in sicurezza e con precisione millimetrica.
Per riuscirci bisogna però fare i conti con la geografia. Lanciando dal sud del Texas, il ritorno verso Starbase comporta inevitabilmente il sorvolo del Messico e di alcune aree popolate. Le nuove mappe pubblicate dalla Federal Aviation Administration (FAA) delineano il corridoio che la Starship dovrebbe seguire: rientro dall’Oceano Pacifico, passaggio sopra la Baja California e poi verso l’interno, oltre le città di Hermosillo e Chihuahua, entrambe con circa un milione di abitanti.
La traiettoria è stata studiata per aggirare le aree più densamente popolate, come Monterrey con oltre 5 milioni di residenti, e per evitare metropoli statunitensi come San Diego, Phoenix ed El Paso.
La FAA ha analizzato gli impatti ambientali e ha concluso che non ci saranno effetti significativi in termini di qualità dell’aria, rumore o sicurezza. Restano comunque da valutare i rischi legati a eventuali incidenti: la normativa americana stabilisce che la probabilità di danni a persone non coinvolte non debba superare 1 su 10.000 per ogni lancio o rientro. In passato, alcuni fallimenti hanno portato alla caduta di detriti, come accaduto sulle isole Turks e Caicos. Tuttavia, l’ultimo test di agosto ha mostrato progressi notevoli: la navicella ha ammarato con un errore di soli 3 metri, dando fiducia per tentativi più ambiziosi.
Non mancano i disagi collaterali. Ogni lancio richiede ampie chiusure dello spazio aereo: la FAA stima che potrebbero essere coinvolti da 7 a 400 voli commerciali, mentre per il rientro sopra il Messico andrebbero chiusi oltre 6.700 chilometri di spazio aereo, con un impatto su circa 200 tratte. L’obiettivo a lungo termine è ridurre queste chiusure, mano a mano che il sistema dimostrerà affidabilità.
SpaceX non punta però a operare solo dal Texas. In futuro, molti voli partiranno dalla Florida, dove la costa orientale permette traiettorie più sicure sopra l’Atlantico. Lì l’azienda mira ad aumentare il ritmo dei lanci, arrivando a frequenze settimanali o persino giornaliere. Tutto questo con uno scopo ben preciso: sviluppare la tecnologia necessaria per missioni lunari e marziane, passando per la tappa intermedia del rifornimento in orbita.