WhatsApp, falso allarme sulla "privacy avanzata": nuova catena di Sant'Antonio

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HDblog.it Aug 25, 2025 · 2 mins read
WhatsApp, falso allarme sulla
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Negli ultimi giorni molti utenti di WhatsApp hanno ricevuto lo stesso messaggio preconfezionato, diffuso a catena persino tra familiari e conoscenti. Il testo sostiene che l’intelligenza artificiale di Meta sarebbe in grado di entrare in ogni conversazione, nei gruppi e persino nelle chat private, a meno di non attivare una presunta funzione chiamata “Privacy avanzata della chat”.

“Da oggi l’AI disponibile su WhatsApp ha accesso a tutte le chat. Tutti gli amministratori di una chat di gruppo possono/devono attivare l’opzione ‘Privacy migliorata’. In caso contrario, l’intelligenza artificiale può aprire i messaggi di gruppo, vedere i numeri di telefono e persino recuperare informazioni personali dal telefono, anche nelle chat private”.

Alla fine del messaggio compare l’immancabile ordine: “inoltra subito a tutti i tuoi contatti”. È l’ennesima variante digitale delle vecchie catene di Sant’Antonio, che si alimentano proprio grazie alla richiesta di propagarsi senza riflessione critica.

In realtà non c’è alcuna minaccia: i messaggi su WhatsApp restano cifrati end-to-end, Meta non ha accesso ai contenuti e non esiste nessuna impostazione nascosta che abiliti o disabiliti l’ingresso di un’AI nelle conversazioni. L’unico modo in cui si interagisce con i bot di Meta è scrivere volontariamente a loro, non il contrario. La presunta “funzione segreta” non ha alcun fondamento.

Va chiarito però un aspetto: la funzione “Privacy avanzata delle chat” esiste realmente, ma non ha nulla a che fare con l’intelligenza artificiale. Si tratta di uno strumento pensato per limitare l’uso che i partecipanti a una conversazione possono fare dei contenuti condivisi al suo interno. In pratica impedisce che foto, video, file o messaggi vengano scaricati o esportati fuori dalla chat da parte degli altri utenti. Una misura che rafforza la riservatezza tra i membri della conversazione, non certo uno scudo contro inesistenti intrusioni dell’AI.

La forza di queste catene è spesso legata alla parola “privacy”, che genera allarme immediato. L’istinto di inoltrare senza verificare appare quindi più vicino alla superstizione che alla cautela digitale. Non si tratta più del vecchio “se non mandi il messaggio ti capiterà una disgrazia”, ma di una forma di pressione sociale: non sembrare quello che non ha avvisato gli altri.

La soluzione non passa da pulsanti nascosti o funzioni inesistenti, ma dall’attivare il buon senso. Ogni volta che compare un messaggio che invita a inoltrare subito a tutti, la regola dovrebbe essere opposta: fermarsi, verificare e non contribuire a diffondere falsi allarmi. Rispondere con ironia a chi li invia può servire a far riflettere sul meccanismo stesso delle catene.

Alla fine, l’unico vero rischio non è l’AI che legge le chat, ma la disinformazione che si propaga con la complicità degli utenti. Un piccolo passo per chi sceglie di non inoltrare più questi messaggi, ma un grande passo per ridurre lo spam che intasa le conversazioni quotidiane.