Secondo quanto riportato nella corrispondenza, i ban decisi negli anni scorsi non furono una scelta autonoma di Google, ma una risposta a pressioni esercitate dall’amministrazione Biden. All’epoca, YouTube impose una rimozione sistematica di contenuti che promuovevano cure fasulle per il virus, come l’assurda pratica del bere candeggina, e teorie del complotto sulle elezioni del 2020 (che i repubblicani sostenevano essere state influenzate da brogli). Oggi però le regole sono cambiate: l’azienda sostiene che la sua piattaforma consente “una gamma più ampia di contenuti” e che i creatori avranno “l’opportunità” di tornare online.
Il nuovo approccio è in linea con quello di altre big tech: Facebook, ad esempio, ha abbandonato il sistema di fact-checking in favore di un modello simile alle note della community, già utilizzato da X. Alphabet, pur ribadendo di non voler delegare a verificatori esterni il potere di etichettare i contenuti come falsi, sta sperimentando un sistema simile negli Stati Uniti.